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Re Granchio

Re Granchio
(***1/2)
(M.Zoppis & A.Rigo de Righi, 2021, Ita, 90′) Un gruppo di vecchi cacciatori seduti attorno a una tavola rievoca la leggenda di Luciano, un ubriacone che alla fine dell’Ottocento abita un borgo della Tuscia. La sua ribellione e il suo odio per il principe locale lo hanno reso un reietto per il resto della comunità. Volendo vendicare uno sgarro subìto e con l’idea di proteggere Emma, la donna che ama, Luciano commette un atto scellerato che lo costringe a fuggire in esilio nella Terra del Fuoco.

Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi nel passaggio dal documentario alla finzione compiono un atto di traslitterazione che conserva intatta la forma/forza evocativa del loro sguardo. La storia è quella di Luciano, ubriacone di fine Ottocento, figlio del medico del borgo, innamorato di Emma e pieno di odio e rancore verso il Principe, l’uomo che possiede le terre intorno e che può permettersi di tenere sbarrato il portone dell’unica strada del paese costringendo i popolani a fare “il giro largo”.

Il mondo di Luciano e Emma ha i colori verde pastello di un eden a misura di villico, le acque strette di un lago e gli interni trafitti di venature caravaggesche. Un mondo dove la condanna all’inazione spinge a gesti estremi. “Essere umani significa confondere una storia soddisfacente con un’altra ricca di significati”, scrive il Premio Pulitzer Richard Powers, “Vuol dire scambiare la vita per qualcosa di enorme con due gambe”. Nella sete (di vino) di Luciano (che è appunto volontà di menefreghistica grandezza) c’è il miraggio di potersi infine saziare d’acqua, dando alle fiamme le proprie ossessioni.

Re Granchio è un’opera spezzata in due tronconi: a un primo frammento mosso dall’ideale amoroso fa da contrappunto una seconda parte che arriva (o parte?) – come si specifica in esergo – “In culo al mondo” e che vede nei sogni di ricchezza la possibilità di riscatto, di lavaggio della colpa. In questo salto che pare negare il cuore e abbracciare la brama, Zoppis e de Righi alzano l’asticella del rischio e si portano a casa l’intera posta, trasformando la storia di una leggenda, nel suo specchio distorto, in un sogno increspato che fugge dall’acqua e all’acqua ritorna.

Emblema – in uno scenario che vira al marrone e che, quale contraltare della prima parte, pare disseccarsi a vista d’occhio – di questo slancio fantastico è la discesa in campo di un enorme granchio, macchia rossa su fondo oscuro, bussola animale di un cammino accidentato, medium capace di convertire un’investigazione filosofica votata all’immobilità (pasoliniani quadri fissi) in un racconto di genere con tanto di caccia all’uomo, camuffamenti, cambi d’identità e sparatoria finale (The shooting, Monte Helman).

Re granchio, ritornando a Powers, nega che la ricchezza di significato possa essere appena più in là che a portata di mano. Una vita soddisfacente può consistere nel semplice atto di immergere una mano in uno stagno per raccogliere un riflesso brillante. Un pensiero tanto semplice quanto opposto al furore di Aguirre solo su una zattera in mezzo al Rio delle Amazzoni, o di Luciano, immerso fino alle caviglie nella sabbia di un minuscolo lago.

Circa l'autore

Hans Delbruck

Sono Hans Delbruck, scienziato e santo. Ma in un'altra vita mi sono di certo chiamato Redmond Barry.

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